Amo le racchette. Non quelle che si impugnano con la mano, quelle che si indossano ai piedi, o meglio agli scarponi. Le racchette da neve, oggi le chiamiamo preferibilmente ciaspole da quando in Val di Non hanno inventato nel 1973 la “Ciaspolada” evento agonistico sulla neve, termine mutuato dal locale dialetto trentino.

Un tempo, sulla neve le ho provate quasi tutte. Con lo sci alpino ho risolto presto i dubbi. Già alla prima uscita per accompagnare figli e moglie torno a casa con gli sci spezzati, ma gamba salva. Poi un ulteriore avvicinamento con lo sci da fondo praticato nell’anello di Colle Melosa quando esisteva solo il vecchio rifugio Cai. Seguono decenni di innamoramento del mare. E ora che sono tornato ai monti ritrovo con la camminata sulla neve con le ciaspole un movimento simile alla sci da fondo, il tallone libero, il piede che sale e scende, la ciaspola che scivola sulla neve. Col vantaggio di potermi muovere sul terreno libero, nessuna necessità di impianti predisposti.
Lontano dai luoghi turistici, nei pressi del borgo alpino-ligure che ho eletto e mio “buen retiro“, attendo di veder cambiare il paesaggio con la caduta di neve copiosa. Già, ma copiosa non è più, da alcuni decenni. Cosicchè mi sposto più in alto, il massiccio del Saccarello e nord, Cima Marta a est.
Quest’anno la neve ha anticipato. Luigi, il decano del borgo, si rifà alla sua assestata esperienza di vecchio brigasco e prevede annata bianca continua e intensa. Non ci ha azzeccato, stavolta.

E’ il 15 dicembre quando lascio il borgo, guido un  gruppo dell’associazione MY, meglio nota Monesi Young. Ci spostiamo prima in auto al limite de Al Pin, poi ciaspole in zaino tra boschi di larici dalla chioma dorata. Raggiungiamo la Bassa di Sanson, dove intercettiamo la carrareccia ex militare. Ha nevicato nei giorni precedenti e nessuno ha ancora intaccato la bianca coltre. Solo le tracce di lepri e volpi, un ungulato (capriolo?) e altre più ampie (lupo?) segnano la presenza di una fauna numerosa ma ben discreta nelle apparizioni.

Il paesaggio è cambiato da come lo ricordo. La neve assorbe i rumori, procediamo in silenzio, meditativo, sul lieve declivio della strada. Echeggia il ritmo dei passi, lo stridìo delle racchette. Andare con le ciaspole, così come camminare, è atto controcorrente, ribellione, che sia consapevole o meno, al consumo tecnologico, è adattarsi a ritmi più consoni con la naturalità umana.
Arrivati a Cima Marta si rimane senza fiato, e non è solo metafora. Tutto attorno cristalli di neve che scompongono e riflettono i raggi solari. Il bianco, abbagliante, estende la linea dell’orizzonte.
Da allora non ho potuto ripetere questa rilassante esperienza. Dapprima una serie, funesta, di incidenti, nell’area limitrofa di Cima Grai, così come del Saccarello, ha scoraggiato la frequentazione delle mia montagne. La neve si era nel frattempo compattata e gelata rendendo rischioso avventurasi oltre un certo limite. Poi un inverno straordinariamente mite, se non proprio caldo, e secco, ci ha reso orfani dello spettacolo della caduta dei soffici candidi batuffoli.
Con la ormai inaspettata nevicata di inizio marzo mi ero rincuorato nella prospettiva di poter organizzare una ultima ciaspolata della stagione. Ma un virus che non si sa da dove venga e perchè vince sul nostro desiderio di stare insieme e godere della nostra natura mutante.

Sarà per la prossima stagione, la ciaspolata che verrà, perchè nel frattempo vinceremo questa crisi.