Realdo viveva, vive, vivrà?

E’ ad un paio di anni fa che faccio risalire la nascita di questa storia. Negli ultimi giorni dell’anno stiamo percorrendo in bicicletta la strada che ci porterebbe sulle Alpi Liguri, per poi ritornare verso la costa. Un miniviaggio di due giorni per godere della vista del panorama alpino innevato e concludere con la sferzata di un bagno in mare a fine dicembre. Senonchè un banale malanno è in agguato, un mio compagno di viaggio sente bloccarsi il ginocchio e occorre abbandonare l’impresa a poche pedalate dal valico di Sanson. Ci fermiamo a Realdo, e qui la scoperta: un punto di ristoro accogliente, in un borgo che sembra congelato nel tempo. Decidiamo di fermarci per la notte e dormire nel rifugio alpino che è posizionato proprio al centro del borgo, ristorati da una cena deliziosa. Non c’è nessuno nel villaggio in quel 30 dicembre di due anni fa.

E’ la storia di un innamoramento.

Ad ogni infatuazione segue una fase di conoscenza. Viene in primo piano una condizione di spopolamento che, pur tipica di tutte le zone montane alpine, è caratterizzata qui da vicende storiche che ne hanno accelerato la dinamica fino a portare al quasi totale abbandono. Prima dell’ultima guerra la comunità di Briga a cui apparteneva Realdo faceva parte della provincia di Cuneo, gli accordi di pace postbellici l’hanno divisa in tre aree attribuite parte alla Francia e parte all’Italia e di questa, parte alla provincia di Cuneo e l’altra a quella di Imperia. Non mi dilungo su vicende note e ancora dolorose per chi le ha vissute e sulle quali non mancano gli approfondimenti delle associazioni votate alla conservazione della memoria. Sta di fatto che lo smembramento della comunità brigasca, ha radicalmente mutato le condizioni operative della maggiore attività economica locale: la pastorizia. Lo sviluppo economico e turistico della costa ha poi agito da potente richiamo per i montanari offrendo condizioni di vita più comode e un reddito più sicuro. Ecco come è sparita in pochi decenni una ampia comunità di diverse centinaia di persone.

Chi si inerpica oggi lungo la profonda Valle Argentina, prima dell’ultimo balzo verso le vette alpine, trova in Realdo un villaggio immutato nel tempo. D’estate il paese si anima. Chi ha conservato la vecchia proprietà familiare torna per godere di qualche giorno di tranquillità. Altrettanto velocemente se ne va e il borgo, con i primi freddi, ripiomba nel silenzio. Praticamente disabitato d’inverno, da quando gli ultimi anziani abitanti sono venuti a mancare. Oggi è Edoardo che resiste ancora nell’agglomerato di Carmeli.
Non mancano le associazioni locali che cercano di tenere accesa una luce sul borgo, da quella votata alla conservazione della memoria, dalle tradizioni, alla lingua, a quella dedicata alla animazione delle giornate dei vacanzieri estivi. Ma si tratta di iniziative, pur benemerite, che operano sul terreno della conservazione della memoria di una organizzazione e vita sociale che morirà definitivamente con la scomparsa degli ultimi anziani. Le condizioni materiali ed economiche su cui si basava la organizzazione della comunità montanara sono radicalmente cambiate e la prospettiva del suo mantenimento o ripristino è definitivamente tramontata.

E tuttavia una prospettiva di vita nel borgo potrà ancora determinarsi. Pur nella diversità delle sensibilità tra il vecchio ordine e le nuove generazioni, si potranno a coltivare valori in continuità tra vecchio e nuovo, valori come il rispetto e il mantenimento dell’ambiente, la sobrietà nelle espressioni e nei consumi, la lentezza intesa come adeguamento ai ritmi dell’ambiente che ci circonda, la solidarietà come base su cui costruire e mantenere i rapporti personali nella comunità. Occorre il coraggio di battere strade nuove, coniugare tradizione con innovazione.
Realdo Vive è per ora l’abbozzo di un sentiero. Un progetto che partendo dall’ottimismo visionario di un singolo si vuole arricchire del contributo di quanti ne condividano i valori e la visione. Basato su due presupposti strategici: il patrimonio ambientale e storico-culturale del comprensorio e la disponibilità prossima di infrastruttura tecnologica per la interconnessione digitale di qualità. E si traduce immediatamente in fatti operativi, il primo la predisposizione e presentazione di un programma di eventi per la primavera.

Qualche anno fa il regista Alessandro Pugno, che ebbe ben modo di conoscere Realdo per la produzione del film “La culla delle aquile”, scriveva:

 “…. dobbiamo fare lo sforzo di riscoprire quell’atavico senso della terra che scorre dentro di noi, dobbiamo farlo affiorare in superficie e iniziare a viverlo. Dobbiamo riscoprire nel mondo tecnolocizzato e virtuale che stiamo vivendo cos’è veramente reale. Solo da una ridefinizione in chiave post-nichilista della realtà, una ridefinizione che usi inevitabilmente il linguaggio del nostro tempo, potremo ancora scorgere la meraviglia che abita il mondo e ritornare protagonisti di un destino umano che ci sembra ad un vicolo cieco. Le montagne allora saranno davvero isole di speranza, rifugi per ribelli e culle per il futuro dell’umanità.”

E’ questa la sfida che vogliamo raccogliere.

18/04/2013 – GdZ